Poi, un bel giorno, scoppiò l’Amore

Mi chiamo Ester e ho 36 anni.

Sono nata e cresciuta in una famiglia di credenti. I miei genitori vivevano una relazione personale con Dio ed erano molto coinvolti nelle attività della chiesa locale. Per me era normale sentire parlare di quello che Gesù aveva fatto e faceva nella vita delle persone, era normale pregare, era normale frequentare regolarmente le riunioni in chiesa. Ho anche visto miracoli accadere intorno a me. Avvertivo che tutto ciò non era frutto dell’adesione ad un certo credo religioso ma la conseguenza naturale di una vita di fede reale, semplice, concreta.

Per me non c’erano dubbi: Dio esisteva, faceva miracoli, mi amava e aveva una sua precisa volontà finalizzata al bene dell’intera umanità. Queste convinzioni hanno fatto parte di me fino a che non ho incontrato personalmente Gesù: quell’esperienza ha dato un impulso tutto nuovo al mio essere. E’ stato come iniziare a vedere il mondo a colori. Come scoprire il senso vero di tutte le cose. Ma vado con ordine.

Da adolescente, esteriormente apparivo come la classica “brava ragazza”; sì, forse un po’ ribelle a certe convenzioni familiari o comunitarie che proprio non condividevo, ma tanto se ne accorgevano solo la mia famiglia e le persone che frequentavano la chiesa. Per tutti gli altri ero quasi una “santa”! Non solo apparivo agli altri come la “brava ragazza” del quartiere: io mi sentivo “brava” e con fierezza credevo in certi valori fuori moda che condividevo apertamente, con fierezza non fumavo, con fierezza ero seria nella mia condotta e nelle mie scelte verso il sesso maschile.

Mi era stato insegnato che siamo per natura peccatori e che abbiamo bisogno del perdono di Dio. Io sapevo benissimo che questa verità riguardava anche me; lo sapevo e allo stesso tempo non lo sentivo dentro. Ma a quel tempo non me ne rendevo conto. A quel tempo proprio non capivo perché la mia vita non cambiasse nonostante avessi chiesto perdono a Dio per i miei peccati (peccatucci, ai miei occhi). Proprio non capivo come mai sentissi la presenza di Dio solo in certi contesti e quasi mai a casa mia. Proprio non capivo come mai preferissi frequentare semplicemente la chiesa senza sentire il desiderio di fare qualcosa di bello per il regno di Dio.

Mi arrovellavo il cervello e lo spirito intorno a questi perché e non trovavo una risposta. A 18 anni mi battezzai in acqua ma la mia vita rimase quella di sempre. Una vita religiosa, oserei dire.

Poi un bel giorno, avevo 19 anni, scoppiò l’amore. Con Dio, s’intende. Finalmente.

Mi ero innamorata di un ragazzo che non aveva una relazione con Dio e nemmeno la voleva. Era un vecchio amico che avevo conosciuto anni prima, durante uno dei tanti campi estivi cristiani a cui partecipavo. Cresciuto in una famiglia simile a quella in cui ero cresciuta io, aveva fatto delle scelte diverse dalle mie nei riguardi di Dio. Per me era inconcepibile vivere una relazione sentimentale con lui, sebbene mi piacessero il suo aspetto fisico e il suo carattere e sebbene i miei sentimenti fossero corrisposti.

Questa incongruenza interiore mi portò a soffrire molto: tutto mi sembrava più pesante, malinconico, in “bianco e nero”. Pregavo perché in lui nascesse il desiderio di cercare Dio e nel frattempo continuavo a sentirlo (eravamo a circa 500 km di distanza), sperando di scorgere un barlume di cambiamento nei suoi intenti.

Una sera ero particolarmente scoraggiata e, durante un culto, pregai Dio cercando il Suo conforto. La Sua voce, che già avevo distinto in un’altra occasione, parlò in modo dolce e perentorio allo stesso tempo: “Devi dimenticare quel ragazzo. Questa sera parlagli e digli che tra voi non ci potrà mai essere nulla e che quindi non vi vedrete né sentirete più”. Per un attimo sentii che stavo precipitando nel vuoto. Ma ero decisa ad obbedire. Dissi a Dio, con un filo di voce ma anche con grande determinazione: “E va bene. Se me lo chiedi, lo faccio. Ma io non voglio più soffrire. Tu devi prendere il mio peso e portarlo per me. Voglio essere felice. Voglio essere libera”.

Capisco – commentò qualche ora dopo A. dopo il mio brevissimo discorso –  in effetti le nostre vite sono troppo diverse. Ho sempre apprezzato la sua onestà. Ci salutammo.

Una volta sola, una tempesta di emozioni e stati d’animo si scatenò dentro di me. Ero certa di aver fatto la cosa giusta e mi sentivo approvata da Dio; allo stesso tempo ero invasa da un’enorme tristezza, consapevole del fatto che quello era stato un addio. Andai a letto così, con le lacrime agli occhi e in profonda comunione con il mio Padre Celeste.

Al mattino aprii gli occhi e… qualcosa di nuovo, di mai conosciuto prima di allora, pulsava dentro di me. Era una presenza che mi pervadeva completamente, era potente, era luminosa, era rigenerante, era arrivata da lontano ed era venuta ad abitare nella stanza più profonda della mia vita. Aveva posato i bagagli a terra, si era accomodata sul divano e aveva tutta l’aria di voler rimanere a tempo indeterminato.

Era Dio in persona: l’ho riconosciuto. Da quel momento in poi accadde tutto quello che non era mai accaduto negli anni precedenti: i miei pensieri cambiarono, i miei sentimenti cambiarono, i miei desideri cambiarono, tutto cambiò. Sentii profondamente quanto peccatrice fossi stata davanti a Dio nonostante le belle apparenze, assaporai il Suo perdono, compresi e apprezzai il valore della vita eterna in quanto dono assolutamente immeritato.

Era come essermi risvegliata dopo un lungo sonno. Non so dire esattamente cosa fosse successo dentro di me, so che Dio ad un certo punto è arrivato e si è fatto conoscere come da tempo desideravo conoscerLo. Ed è sempre rimasto in me, di fianco a me, davanti a me, dietro di me. Nella gioia e nel dolore. Fino ad oggi.

Siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio” (1Pietro 1:23)

Ester C.