Il valore della dipendenza

“Descrizione dell’uomo: dipendenza, desiderio di indipendenza, bisogno” (Pascal, Pensieri).

Il più delle volte la parola “dipendenza” si accompagna a suggestioni negative, forse perché riporta ad una serie di problemi che affligge la nostra società: dalla dipendenza da sostanze alla dipendenza dal gioco, dalla dipendenza affettiva alla dipendenza da Internet e la lista potrebbe essere ancora molto lunga.

Ma essere dipendenti significa sempre avere un problema?

Un vincolo

La dipendenza ha a che fare con un vincolo che in tante circostanze non è solo utile, ma addirittura vitale; la vita di una foglia dipende dal ramo a cui è attaccata, quella di un cucciolo dalla madre che lo nutre e lo protegge dai predatori, la vita e lo sviluppo di un feto dalla mamma a cui il feto è legato attraverso il cordone ombelicale. Anche la persona adulta dipende da tante cose: dallo stipendio che arriva a fine mese, dallo stato di salute, dall’affetto che le persone care nutrono nei suoi riguardi. La condizione di dipendenza è pertanto costitutiva della vita, compresa quella dell’essere umano.

Al contrario, la parola indipendenza si accompagna a suggestioni tendenzialmente positive perché viene associata alla libertà e all’autosufficienza.

In effetti la spinta verso l’autonomia è altrettanto costitutiva dell’essere umano ed è sintomo di buona salute; infatti quando il bimbo è pronto per vivere in modo fisiologicamente autonomo, viene alla luce e si taglia il cordone ombelicale; l’adulto è tale perché ha preso delle sane distanze psicologiche dalla famiglia di origine ed è in grado di provvedere da sé alle proprie necessità materiali.

Dipendenza e indipendenza

Nonostante dipendenza e indipendenza convivano nella nostra vita, spesso si dà più valore alla seconda che alla prima e tra l’altro ne si estremizza il significato associandolo all’idea dell’assenza di ogni forma di vincolo. Fino a poco tempo fa sentivo in tv uno slogan pubblicitario che recitava più o meno così: “C’è chi dice questo, c’è chi dice quello… ma c’è un solo pensiero che conta: il tuo”. Questo slogan fa passare l’idea che sia possibile essere liberi dall’influenza del pensiero altrui e, se ne allarghiamo la portata, insinua il pensiero che in qualche modo gli altri siano un freno alla nostra personale realizzazione e allo sviluppo della nostra vera identità.

Ora, se è indubbio che esistono legami dannosi o estremamente pericolosi per la persona, è anche vero che ne esistono altri che, al contrario, bisogna preservare, curare o tessere perché sono determinanti per l’equilibrio psico-affettivo individuale e per la costruzione di una società autenticamente umana: si tratta dei legami fraterni, dei legami amicali, dei legami coniugali. La sfida che ci è posta consiste semmai nel distinguere tra i legami umani sani e quelli malati per decidere di investire nei primi tutte le nostre energie ed evitando la tentazione di “disfarci degli altri” non appena ci sentiamo “troppo stretti” e limitati per il fatto stesso che l’altro ci è accanto. Quel sentirci in uno “spazio stretto” è una conseguenza naturale della cultura individualista nella quale ci siamo formati e verso la quale, quando serve, è opportuno esercitare un saggio spirito critico. Infatti è proprio in quello che potremmo sentire a volte come uno “spazio stretto” che maturiamo come persone; ed è proprio quello spazio che, se curato, diventa “spazio condiviso” fatto di affetto e di calore umano, uno spazio a cui attingere emotivamente e spiritualmente.  Penso sia questo il senso in cui va intesa la metafora biblica del corpo, che sottolinea il valore dell’interdipendenza: ogni organo è al suo posto, ha la sua funzione specifica e al tempo stesso è indissolubilmente connesso alle altre parti del corpo.

Uniti a Dio

C’è anche un altro legame che è fondamentale curare: quello con il nostro Creatore.

Nel Nuovo Testamento Gesù dice “Io sono la vite e voi siete i tralci” (Giovanni 15,5) e racconta anche una parabola (Matteo 7,25), che potrebbe rappresentare il paradigma del perfetto equilibrio tra dipendenza e indipendenza. E’ la parabola delle due case: un uomo costruì la sua casa ponendone nella sabbia le fondamenta, un altro costruì la sua casa ponendone le fondamenta nella roccia. Per un po’ entrambe le case ressero ma un giorno si scatenò una terribile tempesta che rase al suolo la casa edificata sulla sabbia. La casa rappresenta la nostra vita, che costruiamo sulla base delle nostre preferenze e delle nostre esigenze, in autonomia, potremmo dire: ne scegliamo la struttura, le dimensioni, ne organizziamo gli spazi interni; allo stesso modo, le nostre vite sono diverse perché ognuno di noi fa scelte personali, lavorative, familiari differenti. Al tempo stesso, la nostra vita non può essere autoreferenziale e ha bisogno di essere radicata in qualcosa di veramente solido che la trascenda. Quella base solida non siamo noi stessi, non sono le persone che ci circondano, non è il denaro, non è la salute, non è la cultura personale; tutto questo crolla di fronte agli scossoni della vita. L’unica base sicura è Dio, perché è lui che ci ha donato la vita di cui godiamo. Pertanto, l’invito è a realizzare che non possiamo prescindere da Dio e ad imparare a dipendere da lui ogni giorno!